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l'infinito Leopardi

Publié le 08/12/2014

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L'infinito, Leopardi    Giacomo Leopardi è une autore famoso dell'ottocento, nacque nelle Marche nel 1798 e morì a soli 39 anni nel 1837 a causa della sua fragile salute. In effetti, si autodefinisce come essendo un "sepolcro ambulante" il che illustra bene il fato che quest'ultimo aderisca al pessimismo. Questo modo di pensare si riconosce nel sua poesia lirica L'infinito (che fu composto nel 1819), opera più o meno descrittiva nella quale il lettore capisce che Leopardi esprime il suo stato d'animo attraverso una scappata un po' particolare nella natura. Natura che è cui intimamente legata a termine d'infinità. Possiamo anche aggiungere il fato che L'infinito è uno dei più noti idilli di egli ed'è una testimonianza del dissidio tra vita e morte, tra ideale e realtà e tra infinito e finito o sia le caratteristiche del uomo romantico.   Cui il testo si può definire come essendo una progressione dello stato d'animo del narratore, progressione che si fa da una "scena" che sembra essere a prima vista l'evasione di un io narrante avvolto nella natura, a un narratore che si muore dolcemente in quella che era una natura lenitivo. Questa poesia è dunque basata sull'ossimoro che fa la differenza tra vite e morte.      L'infinito rivela a prima vista il piacere che può avere il narratore a perdersi nella natura, come se fosse ubriacato di quello che lo circonda. Il narratore è a la ricerca di sensazioni uniche e di quietudine come se fosse il solo rimedio al suo dolere interno. Ed'è per questo che egli descrive la natura come una specie di fonte di vita, di un piacere incomparabile.  Cui, il narratore va a cercare un possibile rimedio al suo male interno dietro una certa siepe che lo fa più o meno fantasticare su quel che c'è oltre essa. L'enjambement tra il verso 2 ...
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« Meriem Fanchi TLS totalità della poesia.

Dunque, il narratore si abbondona, si lascia andare attraverso la sua immaginazione debordante e il rumore del vento che storme alle sue orecchie, questo è un momento che l'autore si gode totalmente.

Inoltre, cui la natura è assimilata all'infinità, caratteristica che permette al narratore di finalmente sentirsi in vita, in vita in modo senza limiti, un universo che supera quello umano, quello terrestre.

L'autore comincia con un'anastrofi al verso 1 che rivela a quale punto egli concede dell'importanza a quel monte dove si trova visibilmente: "sempre caro mi fu quest'ermo colle".

Su quel colle, il narratore può godere di "interminati/ spazi" (v.4-5), spazi infiniti, mozzafiato, il che si capisce facilmente grazie all'iperboli e all'enjambement cui utilizzati per amplificare l'effetto di infinità.

Possiamo anche aggiungere il fato che l'anastrofe verso 4 a 7 (“interminati / spazi di là da quella, e sovrumani /silenzi, e profondissima quiete / io nel pensier mi fingo”) amplifica l 'immagine della specie di fuga del pensiero del narratore attraverso questo mondo parallelo.

In effetti, egli non è sodisfatto di quel mondo terrestre a da offrili, perché il mondo che conosciamo tutti è finito ed'è per questo che esso è malinconico e pessimista.

Quest'ultimo ha bisogno di un nuovo soffio nella vita, soffio qui simbolizzato dalle numerose allitterazione della "s", quel che vediamo soprattutto nel verso 5 a 6: "Spazi di là da quella, e sovrumani/ Silenzi, e profondissima quiete”.

Quindi, la natura immaginata dal narratore è come una specie di porta verso un universo nel quale egli si può finalmente sfogare sprigionare quel che lo fa soffrire dal interno.

In parallelo, questa poesia rivela la “potenza” della natura, cui la natura è vista come onnipotente ed’ha come caratteristica prima: l’infinità che svantaggia l'uomo come essere finito.

Ma, cui, più che mai, quello che circonda il narratore è legato alla morte, sentimento o sensazione paradossale visto che è vissuta come bene, il narratore si gode questa sua “dolce morte”.

Ma quello che a prima vista sembra essere scappatoia verso un mondo migliore senza limiti si trasforma in un universo dove l'uomo non può che esserne la "marionetta".

l'aggettivo iperbolico al verso 15 ("sovrumani") è all'immagine del mondo creato dal poeta ma al quale gli sfugge velocemente il controllo.

In questo testo si può quasi quasi parlare di megalomania, cosa che è ben illustrata grazie al l'onomatopea della parola "profondissima" (cui iperbolica grazie al suo superlativo) che può designare l'ambiante che regna in uno spazio senza limiti, spazio pieno di un silenzio pesante, inquietante.

Ed'è in "quello/ infinito silenzio" ( verso sottolineato da un'enjambement che forza il lettore come il "protagonista" di quest'evento a trattenere il suo soffio, il che da un effetto di soffocamento) che il narratore cerca disperatamente una specie di aiuto, di punto di riferimento che spera trovare in "questa voce", il che è ben percepibile grazie all'uso di questa antitesi.Nonostante gli sforzi di quest'ultimo, egli finisce col annegare psicologicamente, mentalmente, quel che si nota al verso 14 con la personificazione del pensiero: "s'annega il pensiero mio".

Così, l'infinità della natura vista dal narratore è a doppio taglio, è un universo che ci libera dai limiti che impone il mondo terrestre ma in cambio questo mondo senza limiti stabilisce altre regole alle quali egli si deve piegare anche se ne deve pagare il prezzo più alto.

In oltre, notiamo che il pericolo che ripresenta questa natura infinita, è una cosa che il narratore sabra godere.

Cui l'autore a un rapporto speciale al tempo, essendo pessimista, vede il tempo trascorre davanti ai suoi occhi con rammarico, senza poter far nulla, senza veramente volere far qualche cosa visto che è impossibile per un semplice mortale di impossessarsi del tempo ormai perso, il che è ben illustrato dal la formula del verso 12: "morte. »

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